Nel 1966 Urania (“la più famosa collana di fantascienza!”) si presentava nella miglior veste tipografica della sua quasi quarantennale carriera. Un rombo colorato in alto a sinistra -definito tecnicamente losanga -portava impresso il nome della testata e la gloriosa specificazione da noi messa, pudicamente, tra parentesi. Alla destra del rombo, il cui colore cambiava di settimana in settimana, e si intonava con quello delle copertine, campeggiavano il titolo del volume e il nome dell’autore. Al centro, su fondo bianco e racchiusa in un cerchio dal bordo rosso, una straordinaria illustrazione di Karel Thole che mozzava il fiato. No, non era soltanto questo: le illustrazioni di Thole facevano capire (è una questione di gusto) che altrove, da qualche parte, il mondo era bello, misterioso e straordinario. Che c’era posto per l’erotismo, per il grottesco e il terrore. Quanta intelligenza e raffinatezza racchiudessero quei perfetti cerchi è risaputo, ormai, in ogni angolo della terra. Ma nel 1966 pensavamo di essere ancora in pochi a condividere quel mondo tenebroso, a trarre profitto dall’insegnamento mostruoso del Maestro, il cui apocrifo vangelo di natività apocalittiche, mutazioni esagerate, piaghe d’Egitto rivedute e corrette con inesauribile fantasia, sodome e gomorre, accoppiamenti legittimi e illegittimi non finiva di deliziarci.
Nel 1966, in agosto, Karel Thole pubblicò una delle copertine più memorabili di quell’estate. Vi si vedeva un uomo anziano che inciampava in un bambolotto, uno di quei bambolotti d’una volta che quando erano nudi, senza capelli senza una mano (come nel caso immaginato dal nostro pittore), mettevano decisamente l’angoscia. Sia l’uomo che la bambola sembravano volteggiare in uno spazio immateriale, impossibile, e guardando il contesto si capiva subito perché.
(In effetti, il “contesto’ era già stato avidamente assorbito dagli occhi, che in un dipinto di Thole difficilmente possono fermarsi su un particolare, trascurando, sia pure per qualche secondo, l’insieme sconvolgente. È solo dopo -quando lo shock del primo impatto con la tavola si è un poco placato – che si può passare a gustare tutti i dettagli.)
L’uomo e la bambola, dunque, erano sospesi fra due paesaggi totalmente diversi ma inspiegabilmente contigui. Il bambolotto sembrava intenzionato a morire sull’asfalto del paesaggio più riconoscibile e terrestre, anzi, forse era già morto. L ‘uomo (in giacca e presumibilmente cravatta, un orecchio messo in evidenza dalla straordinaria calvizie, non un pelo su tutto il cranio!) stava invece trascolorando, trasumanando nell’Altrove. Nel lato destro della tavola, quello agghiacciante del bambolotto, campeggiavano ancora i tranquillizzanti grattacieli di Chicago, benché lontani e simili a Torri di Babele sovrastate da nembi apocalittici; nel lato sinistro, preponderante (le due metà del disegno non sono perfettamente simmetriche:), ribolliva e sbocciava dal nulla una visione, sorprendentemente colorita, del caos. Sarebbe confortante poter dire che quelle sagome erano geometriche, quelle figure organiche, che insomma qualcosa le rendeva simili alle forme del nostro mondo; ma era impossibile.
Probabilmente l’uomo calvo, Schwartz, aveva varcato una volta per tutte la soglia dei Confini della realtà e si era imbattuto – per errore, per caso, per la cieca indifferenza del cosmo – in un universo di Pure Forme, l’iperuranio di un mondo inconcepibile che in quei colori e in quelle bolle conservava le matrici perfette di un’inimmaginabile realtà.
L’inconsapevole ma sostanziale affinità tra la copertina di Thole e il romanzo, Paria dei cieli, sta nel fatto che, come quest’ultimo ci trasporta in un mondo all’apparenza impossibile, ma in realtà fatto su misura per tessere un apologo sull’antisemitismo, Thole, grazie alla magia del suo disegno, riesce nell’impresa di far convivere due realtà apparentemente inconciliabili; anzi, di mostrarci come la seconda -la realtà “nostra” -venga a poco a poco insidiata da quell’altra, smangiata, inglobata. C’è da scommettere che fra poco scomparirà definitivamente dalla tavola. Brrr …
E qui veniamo a qualche considerazione generale. La bravura dell’artista olandese non sta nella “grandiosità” dei concetti, nella magniloquenza delle visioni (come accade, invece, nella maggior parte dei disegnatori americani). Karel Thole è grande, il più delle volte, per la sua capacità di lavorare su oggetti semplici, su situazioni elementari in cui scopre il mistero. Anche se, bisogna ammetterlo, alcune situazioni che a noi sembrano “semplici” scaturiscono in realtà da un complesso lavoro di scelta e preparazione, e comunque da una straordinaria abilità tecnica.
Così, nella copertina in questione, gli elementi-chiave vengono risolti con grande eleganza ma soprattutto con semplicità: dal bambolotto rotto (che proprio la mancanza di quella mano distingue da un bambino vero, cui assomiglierebbe tremendamente) alle forme dell’Altro Mondo, imperturbate e imperturbabili. Il primo, un oggetto casalingo e assurdamente familiare; le seconde, certamente non meno familiari a Thole, che si muove da sempre fra i colori e le forme misteriose proprio perché apparentemente elementari. E, di nuovo, la contiguità del fantastico e del familiare (e 1 ‘impossibilità di dividere i due mondi) è sottolineata dall’ombra della testa del bambolotto, che miracolosamente supera la barriera dimensionale e si allunga, innocente ma inspiegabile, verso l’aldilà.
Giuseppe Lippi
introduzione al Romanzo di Isaac Asimov “Paria dei Cieli” Oscar Fantascienza.